Della fotografia

In Estinzione di Thomas Bernhard ci sono parole di acuta insofferenza per la fotografia: “[…] la più grande sciagura del ventesimo secolo”, la definisce questo sprucido viennese.

Eppure, il demente piacere che l’era digitale ha regalato al fotografo da diporto neanche il più lungimirante degli aruspici l’avrebbe potuto vaticinare.

Il moderno gaglioffo punta l’obiettivo della sua macchina elettronica come il rapace allunga le grinfie sulla preda colta di sorpresa. A caso il suo strumento s’avventa sulle cose. Non vede, non osserva, egli brama.

La sua ispirazione del piffero si manifesta a lui come una necessità fisiologica, come mangiare o evacuare.
Il miserabile colleziona ritratti d’ogni genere, panorami insignificanti, foto di amici e parenti colti in pose insulse di cui si vergogneranno per sempre. Ma egli neppure sa che quell’accozzaglia di non-visto, la paccottiglia dei suoi passatempi in saldo, raccoglie soltanto il vuoto assoluto della sua magra esistenza.

No, egli non immagina neppure che dove lui ora ha due occhi, uomini come Man Ray avevano la vista e sapevano usarla. Il poveraccio ignora che questi signori facevano dell’obiettivo il loro terzo occhio perché negli altri due avevano l’universo intero.

E se a Thomas Bernhard la fotografia proprio non piaceva, pazienza! Ce ne faremo una ragione.

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