Siste Viator
All’inizio vi era soltanto acqua che sgorgava dalle rocce o zampillava da qualche fessura della terra. Corsi d’acqua che ristoravano animali o lenivano la sete dei viandanti. Nessuno ne conosceva la provenienza o sapeva da dove arrivava, eppure tra quel liquido e chi ne usufruiva era insito un rapporto di fiducia.
Il filosofo di Mileto Talete ne fece il piano d’immanenza su cui edificare la sua concezione dell’universo. Dall’acqua immaginò venissero tutte le cose di un mondo goffo e che si conosceva appena.
Nella memorabile storia della Creazione è sull’acqua, ha-màim, che aleggiò il rùach, il soffio divino prima che ogni cosa prendesse forma e vita. E ancora all’acqua diluviante, ricorse quello stesso rùach per cancellare l’imperfezione che poco prima aveva plasmato.
Poi con l’acqua si stabilì un rapporto di confidenza o di subalternità. Presto la si obbligò a giri tortuosi, a disperdersi in rivoli secondari, la si costrinse a scorrere in canali o in rozza tubaglia. L’acqua divenne corrente perché doveva muoversi da un posto all’altro più velocemente possibile. E fu allora che qualcuno ne approfittò: il ladro per rubarla, il nemico per disperderla, l’untore per ammorbarla con velenose pozioni.
Ma ormai l’acqua era arrivata fin dove non era mai stata. Dai pendii di montagna o dai capienti letti di fiume, adesso zampillava nelle strade delle città, sgorgante dalla canna metallica di una fontana. La fontana, dunque, si trasformò nella misera stilizzazione di una sorgente o, come ci piace dire, nella ridicola miniatura di un principio.
Nel Medioevo l’acqua non conobbe l’umiliazione delle fontane ma la tranquilla e solitaria profondità dei pozzi. Questi non erano soltanto riserva naturale di acqua, ma il vivo innesco della credulità infantile. In fondo ai pozzi si nascondevano antichi tesori, i geni munifici o malefici delle fiabe che si narravano ai bambini per educarli all’ignoto e alla tragicità della vita. Un pozzo, insomma, non custodiva soltanto acqua dissetante ma segreti, e in più, alimentava la fantasia.
Tuttavia la fontana diventò fonte di ispirazione artistica. Con assurda caparbietà, l’artista sottrasse all’acqua quello che i filosofi del passato le avevano attribuito, e attirò l’attenzione dello spettatore sul marmo delle statue o delle vasche anziché su quello che esse contenevano. Cosicché la pietra levigata e scolpita assunse maggiore importanza di ciò che vi scorreva sopra. Per dirla tutta, la menzogna dell’arte ribaltò la situazione trasformando un principio in un’illusione. Le allegorie marmoree che cominciarono a popolare le vasche delle fontane, alludevano a una mitologia che non nasceva dall’acqua e soprattutto non ne aveva bisogno. Esattamente come il cieco bardo Omero non ebbe bisogno di guardare in faccia Odisseo per narrarne le gesta.
Insomma, ogni zampillo, tuffo o schizzo d’acqua che scroscia nelle monumentali conche bianche di una fontana, è il desiderio di una sete che non può più essere soddisfatta. È il miraggio, la fatamorgana di un abbeveraggio che non sarà mai più possibile, di una potabilità arbitrariamente negata. E il Siste Viator, l’invito latino scolpito nella pietra, quello che incoraggiava il passante alla sosta nei pressi di una fontana, oggi ha il triste significato di un muto, solenne epitaffio.
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(Scritto per l’amico Renato CASOLARO e il suo gruppo di ciclisti urbani SPACCANAPOLIBIKE, in occasione dell’evento Bike Tour delle fontane da loro organizzato il 06 giugno 2015.)