Gay Pride

L’articolo che segue ha qualche anno. Fu scritto in occasione del Gay Pride di un po’ di tempo fa (credo tra il 1999 e il 2000) e pubblicato su un magazine online di cui adesso non ricordo più neanche il nome. Riscosse un certo interesse tanto che fui sommerso di e-mail le quali, avendo per lo più frainteso il senso della mia posizione nei confronti dell’omosessualità e del sesso in generale, contenevano rimproveri, accuse ed esagerazioni rivoltemi con una certa veemenza.

A parte qualche sfumatura o qualche espressione opportunamente corrette, nella struttura e nella sostanza l’articolo è quello di allora. Era conservato in un mio vecchio archivio e lo ripubblico volentieri per il ripetersi dell’evento Gay Pride organizzato oggi a Napoli.


Ciò che una volta furono uranismo e saffismo, oggi sono soltanto omosessualità: cominciamo da qui. Nel senso che l’orrore e la tragicità di certi miti si sono consumati ed esauriti in una sorta di omologazione concettuale del sesso. Sì, perché è di sesso che si parla e nessuno neghi l’orrore e la tragicità che in esso si celano.

Annegare nella cloaca delle membra dell’altro per assaggiarne i miasmi amari, gli acri umidori e invischiarsi in filamentose secrezioni, questo intendiamo noi per sesso, il suo principium individuationis. Eppure le manfrine pro e contro l’omosessualità continuano. (Anche questo bisogna ammettere).
Chi entra nel dibattito il cui tema centrale è l’omosessualità, non perde tempo e subito solleva lo scudo chiamando in soccorso la Natura come il debole e pavido moccioso chiede l’intervento del fratello maggiore.

Tuttavia il ricorso alla Natura è sempre stato l’espediente di chi non ha argomenti (noi qui vi ricorriamo soltanto per noia) e perfino un grande zufolatore come Thomas Mann ne avverte la necessità: “L’amore omosessuale – così egli scrive – è ignaro dell’etica, incurante del comandamento della natura, assolutamente estraneo all’idea dell’utilità e della fecondità ed è assai difficile che l’umanismo estetico possa addurre argomenti persuasivi contro l’emancipazione dell’eros dall’idea di utilità e di propagazione della specie.” (T. Mann, Sul matrimonio).

Ecco il nervo dolente: la propagazione della specie per diffondere il genere umano in nome di una supposta naturalità. Ma si ignora che la Natura si nutre di orrori, genera mostri e ha mani lorde di sangue. Perpetuare il rito infinito della specie non significa altro che offrirle sempre nuove vittime sacrificali, altri olocausti.

Da qui nasce la nostra stima per l’amore infecondo – e non necessariamente omosessuale –, l’amore improduttivo, contro natura, insomma. Cedere alla concupiscenza dei sensi aborrita da Bossuet, questo sì, lo vogliamo, ma senza essere persuasi dall’idea del concepimento, della creazione scimmiottamento di Dio.

In altri termini, l’idea che l’uranismo e il saffismo appartengano al genere dell’amore improduttivo, ce li rende ancora più vicini anche se contininuiamo a detestare il moderno concetto di omosessualità, di “sesso tra pari” per dirla diversamente.

Sì, a noi non interessa con chi il sesso sia praticato (vi includiamo addirittura anche l’onanismo), e la ridicolaggine di certe manifestazioni o parate di chi sa quale orgoglio, ci lascia del tutto indifferenti. Noi nel sesso vi vediamo soltanto orrore e tragedia (ci ripetiamo con piacere) e pur razionalizzando non vi troviamo che svuotamento di gonadi e affanno (il contrario di una polluzione notturna e involontaria). Tutto qui.

Del resto si sa, ciò che è più eccitante del sesso è l’idea del sonno ristoratore che sopraggiunge dopo lo stancante orgasmo. (Questo lo ripetiamo a noi stessi).

A margine, come epigrafe, aggiungiamo questa incantevole e seducente verità: “Copulare è una faccenda molto seria. I risultati sono pochi, a parte le malattie e la tristezza.” (Dal film The baby of Mâcon di Peter Greenaway).

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