

Come l’irresistibile Afrodite, l’ozio seduce. Il gesto mellifluo, lo sguardo sottecchi, il respiro che tradisce affanno: anche l’ozio ha la sua erotica.
Gli antichi conobbero l’otium e il suo contrario, il negotium (nec-otium), ma noi fraintendemmo e lo trasformammo in affare, mercato, lavoro. Accettammo, cioè, una maledizione biblica (Gn 3,17) come un privilegio e una fortuna.
Persino Odisseo, di cui certo non si può dire che conobbe requie, per sette anni giacque senz’altra occupazione, tra le braccia della dolce Calipso.
L’ozio è da eroi, da uomini coraggiosi: il codardo pratichi pure le sue quotidiane attività e si lasci consumare da esse.
I vizi, dei quali gli fu imputata la paternità, non sono la mollezza dei sensi o la lascivia che qualcuno ha voluto lasciar intendere. Semplicemente, con essi l’ozio riproduce quella divina gerarchia olimpica cui i cauti Greci affidavano le loro esistenze.
Amici, l’ozio è la primordiale umana condizione edenica, quella antecedente all’infausto misfatto conclusosi con la trasgressione del frutto proibito.
Amici, in paradiso il tempo è immobile e il piacere è eterno.