Il parèrgon della Moda
Anche la Moda ha il suo corpo, ma nulla le è più estraneo di questo obsoleto e precario ammasso di cellule. Il corpo evanescente, cioè quell’idea platonica su cui lo stilista fa sfilare i capi della sua ultima collezione, è il superfluo, il parèrgon che l’abito elimina quasi completamente.
Il principio della Moda esige che il prodotto sartoriale sia quell’assoluta evidenza dinanzi alla quale persino le menti più deboli non abbiano alcun dubbio. Il corpo, invece, stia pure felicemente altrove.
L’esile figura dell’indossatrice rappresenta la garanzia che tale principio sia rispettato appieno. La sua gracilità assolve con assoluta certezza il compito che le è stato affidato. Con la rinuncia alla costituzione di un corpo empirico, ella muove i suoi passi di nuvola sorretta solamente dall’abito che indossa.
Finanche le ripetute trasparenze che l’haute couture a scadenza esibisce con vanità e orgoglio, scoprono soltanto efebiche e angeliche pudenda, una nudità spettrale e fascinosamente neutra. La nudità delle carni, reclama un corpo, un corpo che invece l’abito di moda costantemente differisce e le nega.
Moda, dunque, è dare corpo ad un abito, sebbene il corpo – ci piace ripeterlo – sia ridotto alla prossimità larvale della sua inconsistenza. Per intenderci, il capo di moda prende corpo a una sola condizione: che questo (il corpo) diventi la sua inutile ridondanza, il suo ingombrante parèrgon.
Per questo, l’illusione che la Moda vesta persone in carne ed ossa, si dissolve, infine, proprio dinanzi all’evidente impossibilità di avere carne ed ossa.