“Prendere la parola”. Kafka e l’ossessione della lettera – L’articolo su Pangea

La prima domanda da porsi è: cos’è la Lettera al padre (Brief an den Vater, 1919) di Kafka? Sotto l’aspetto puramente formale è una rampogna indirizzata al proprio genitore scritta da un uomo di trentasei anni. Vista da un’altra prospettiva e con un occhio più attento, essa è il tardivo tentativo dello scrittore praghese di affrancarsi dall’egemonia patriarcale ma anche, e soprattutto, la disperata e monologante volontà di sconfiggere il proprio mutismo e finalmente prendere la parola.

All’inizio, il tono da vecchia cornacchia (in lingua ceca kafka è la pronuncia del sostantivo kavka, cornacchia, appunto. E proprio una cornacchia era il marchio dell’attività commerciale dei Kafka), polemico e dallo stile passivo-aggressivo che nella Lettera lo scrittore usa nei confronti del padre Hermann, sembra esibire i tratti di un malessere adolescenziale (e forse lo è) sebbene, come si è detto, sia stata scritta da un uomo colto e ormai adulto.

Se ne è accorto Georges Bataille che in La letteratura e il male, rileggendo i Diari e gran parte dell’opera kafkiana, vi individua una mai perduta «condizione infantile» e «puerile» che si sarebbe poi definitivamente incarnata nelle due principali attività del praghese: la lettura e la scrittura.

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2 Commenti

    • Carissimo Girolamo, ti ringrazio per il tuo intervento e per il tempo che dedichi agli articoli che scrivo.
      È vero, la figura del padre non è soltanto difficile da gestire, ma anche ingombrante. E, ahimè, non solamente per Kafka.

      Un abbraccio.

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