La via come le donne

Sono fermamente convinto del valore simbolico della mestruazione.
Con questo voglio dire che il significato che il segno-mestruazione esprime o a cui rimanda, è inconfondibile, inequivocabile e convincente. Esso si impone con la caparbietà di una certezza e con la forza di un’evidenza.

La testimonianza del mancato o fallito tentativo di concepimento, l’espressione autentica della vittoria del singolo sulla progenie, l’affermazione autarchica dello spreco sulla conservazione, non sono che il contenuto di verità che la mestruazione, in quanto segno, rappresenta.

Da questo punto di vista, non comprendo come la comparsa delle mestruazioni (prescindendo ovviamente i disturbi fisici più o meno pronunciati che le accompagnano) possa essere per alcune donne motivo di disagio, causa d’imbarazzo, ribrezzo o addirittura costituire una vera e propria menomazione.
La possibilità che la natura offre alle donne di manifestare visibilmente la momentanea condizione di esseri non riproduttivi, è un’occasione unica che al maschio della specie non è consentita. (Questa è la vera menomazione!)

In altre parole, ciò che alla femmina è dato per natura, al maschio è impedito, precluso, negato. L’espulsione cruenta dell’ovulo non fecondato, è la prova evidente di una rinuncia, il favorevole consenso allo sperpero e all’inutilità che al modesto maschio, invece, sono preclusi.

Il miserabile si trova nell’imbarazzante situazione di non poter esibire, né a sé né al mondo, alcun segno della sua condizione di essere-non-generante. Egli non può dimostrare alcunché, non è nelle sue facoltà esporre esplicitamente e con orgoglio la sua non appartenenza alla razza dei generanti. In tale prospettiva, il maschio è condannato alla fecondità e alla procreazione. A lui sono consegnati gli oneri salvifici della continuazione e conservazione della specie.

L’espulsione del seme nell’uomo non è altro se non la sua disponibilità alla fecondazione, una condanna che si replica ad ogni eiaculazione. Egli insomma vive di un’affermazione spermatica che lo umilia e l’offende come il mortificante peso di una calunnia.

La donna invece, seppur temporaneamente e per un certo periodo del mese, con l’evidenza simbolica della mestruazione, afferma soltanto se stessa quando agli occhi del mondo consegna il segno incontestabile della sua assoluta indisponibilità alla riproduzione.

Anche in Genesi/Bereshìt (capitolo 18, verso 11), primo libro della Scrittura Sacra, la mestruazione lascia un segno indelebile. Esso è così evidente da essere paragonato ad un percorso, un sentiero, una strada. Là le mestruazioni sono chiamate ‘oràch kanashìm, che nella nostra lingua più duttile significa (la) via come le donne”. Il fenomeno che ogni mese si manifesta dentro e fuori il corpo della donna, per gli ebrei delle origini traccia un sentiero che la beffarda natura, insensibile e cruenta, segna con vistose scie di sangue.

Saràh (Sara), moglie di Avrahàm (Abramo), sapeva bene che all’età di novant’anni quella via, quella strada di natura, era ormai abbandonata e impraticabile. Perciò rise, rise di gusto quando un messaggero mandato da Dio annunciò a suo marito che sarebbe diventato padre perché sua moglie gli avrebbe partorito un figlio.

Saràh rise perché il suo sentiero era arido e non conduceva più da nessuna parte. Quel sangue che ne simboleggiava la praticabilità (e per certi versi la possibilità della riproduzione) era ormai completamente secco e rappreso.

Ma la testardaggine di Dio impose che l’irremovibile e sicuro angelo che ascoltò la sua risata, confermasse il messaggio e le rinnovasse il presagio.
Da quella risata in poi Saràh divenne feconda. Il sentiero delle donne riprese ad essere percorso come una strada battuta e sicura facendo venire alla luce Itzchàq (Isacco), il figlio della vecchiaia, del riso e segno divino di una beffarda potenza del sangue.

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