In spiaggia #11

Nel vano tentativo di attendere alla lettura di L’abisso di Huysmans nell’inospitalità naturale di una spiaggia che sulle prime mi era sembrata un’oasi di tranquillo ozio, sono distratto dalla presenza di tre donne tatuate prone sul bagnasciuga con l’intento – suppongo – di attenuare l’arsura delle loro membra adipose senza allontanarsi dalla riva.

I loro corpi clamorosamente involgariti dall’inchiostro e le trucide unghie da pantera che sporgono lunghissime dalle dita appesantite da robusti anelli offendono senza scrupoli il chiaroscuro della rena. E subito mi fastidia un facinoroso contrappunto di risate, un gracidare di ugole allenate alla ciarla, uno sbatacchiare di piedi nella spuma marina. Quando le onde basse colpiscono vezzosamente i loro fondoschiena da pancraziaste, esse sobbalzano, motteggiano e cercano con lo sguardo una frivola complicità che io non sono disposto a offrire.

Distolgo lo sguardo dal penoso spettacolo e lo volgo volontariamente alla bruna nereide che è poco più in là. Ella ha appena domato con una stringa di stoffa la ribellione dei suoi cernecchi e uno chignon, adesso, troneggia alla sommità del suo capo. Prima di consegnarsi ai placidi flutti del mare, sistema la succinta aderenza del suo minuscolo costume da bagno alle galanti forme del corpo allenato alle sfide della vita. Con serena lentezza si avvicina e infine si immerge nel salmastro che l’attende e che sembra essere stato creato soltanto per lei. Neppure l’incauto Talete avrebbe immaginato che un giorno, ciò che lui pose come principio d’ogni cosa, avrebbe accolto codesta divinità. La sua solitaria nuotata è un tripudio di sinuosa armonia ed eleganza. Il ritmo binario delle sue bracciate, invece, sostiene la prosa scadente dei miei strazianti pensieri che anelano soltanto grazia e conforto in egual misura. Poco dopo, ella riemerge lucida dell’acqua che la ricopre. Come rugiada mattutina, stille le precipitano dai lobi, dalle ciglia setose, dal mento ovale, dalla punta capezzolata dei seni minuti. Poi il suo apostolato di bellezza si conclude nel perimetro asciutto della stuoia perfettamente adagiata sulla sabbia rovente.

Ormai Durtal, il protagonista del sulfureo romanzo di Huysmans, ha perso il mio interesse, le sue avventure non fanno più presa sulle mie precarie illusioni, sulle mie vanità intellettuali. Ho miseramente abbandonato le sue elucubrazioni sul mistero del sacro e sulla convenienza del crudo realismo in letteratura alle pagine del libro che adesso giace inerme e infiacchito sulle mie ginocchia. La curiosità del mio sguardo, invece, persiste soltanto sui gesti che quella celeste creatura, democraticamente e senza tornaconto, concede all’inselvatichita fauna umana che la circonda.

È il sogno quello che adesso m’è più congeniale, quello dell’avventura galante, della furiosa ebbrezza amorosa, della fantasia erotica che però, immediatamente, la mia senilità bio-anagrafica s’affretta ad attenuare e infine a spegnere. Prim’ancora che la palla, maldestramente lanciata da una delle tre erinni dal derma arabescato, colpisca il mio calcagno riportandomi allo strazio ferale di un’insopportabile quotidianità.

2 Commenti

    • È vero, non ci avevo pensato, la scena fa molto “Morte a Venezia”. Ma manca il particolare più importante: la bellezza.

      Mi hai fatto molto sorridere e ne avevo bisogno, grazie.

      Un abbraccio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *