La titanica missione del dotto

A un certo punto, in un passaggio del suo La ribellione delle masse (1937), Ortega y Gasset invoca con rassegnato pessimismo il ritorno della filosofia in Europa.

Perché la filosofia torni a imperare, precisa dopo, in una nota a piè pagina, non è necessario che i filosofi governino o guidino le città, come auspicava Platone, né che i re goffamente si mettano a “filosofeggiare”. Perché la filosofia in Europa torni a essere quello che era, dice, occorre semplicemente che “i filosofi siano filosofi” e non quei ridicoli damerini di corte – aggiungiamo noi – pronti all’ossequio. “Da quasi un secolo”, continua Ortega, “i filosofi sono tutto meno che filosofi – sono politici, pedagoghi, sono letterati o sono uomini di scienza”. In altre parole, fanno quello che possono.

Anche oggi, purtroppo, la situazione è quella che è e non si sono visti miglioramenti. La filosofia è ridotta a pettegolezzo o a conversazione da salotto, a occasione modaiola e festivaliera, a vuoto narcisismo congressuale, ad abêtissement, insomma. Ortega ha soltanto enunciato il problema ma non ha fornito la soluzione. “Che i filosofi siano filosofi”, dice costui senza possibilità di replica, ma cosa significhi non ce l’ha spiegato.

E allora, come si riconosce un filosofo? Cosa fa questo strano animale, questa curiosa creatura? Ebbene, il filosofo è un apprendista, un garzone di bottega, un guardiano di oche o, al massimo, un solitario molatore di lenti. Pitagora lo paragona addirittura a un qualsiasi sfaccendato che si aggira nelle fiere di paese. Fichte, invece, ne ebbe maggiore stima e gli chiese più di quanto quest’essere potesse permettersi. La missione che gli affidò travalicava tutte le aspettative. E infatti fu disattesa.

Intanto va detto che nessuno è filosofo per professione di fede o per mestiere, eppure qualcuno è filosofo fin dentro le midolla e qualcun altro non lo è. Il suo compito dovrebbe essere quello spietato di sempre, tenere gli occhi sulle cose e infine, come un tempo, lasciarsi colpire da queste con stupore e meraviglia. Tutto quello che gli si chiede, infine, è di essere fedele a ciò che Parmenide annunciò con poche parole: ἒστι γάρ εἶναι, μηδέν δ`οὐκ ἒστιν, l’essere dunque è, il non essere non è. Ma mi rendo conto che lo sforzo è titanico. Eppure, basterebbe che egli semplicemente si tenesse alla larga dalle sagrestie e dalle conventicole di partito. Poi, tolta la casacca o la livrea, facesse quello che gli resta da fare perché qualcuno lo riconosca ancora come filosofo: drizzare la schiena, guardare negli occhi e indignarsi.

4 Commenti

  1. Ho letto, Vincenzo. Grazie, è interessante. Se posso dire la mia, da persona che studia la filosofia da svariati anni e cerca di insegnarla da parecchio tempo, ti dico che mi interrogo anch’io su queste questioni. Chi è il filosofo e cosa deve fare nella società. Ebbene, lungi dall’apparire e “vendere” la propria immagine e la propria “merce”, a mio avviso, il filosofo deve “stare” nelle cose, deve vivere tra la gente; socraticamente parlando, deve porre e aspettarsi domande. Deve occuparsi dei giovani e puntare sulla loro formazione. Infine non deve mai perdere di vista l’obiettivo di cambiare le cose e soprattutto, crederci. Questa è la “missione del dotto” che come sai, punta soprattutto sull’etica. Ecco, il filosofo è una “luce etica” e questa luce dovrebbe brillare senza nessuno sforzo di mostrare e affermare il proprio ego. Come Platone ci ricorda, quando lo schiavo si libera dalle catene, non va a mpstrare quanto è bravo ma torna dentro a liberare i compagni. Purtroppo sappiamo anche come va a finire, ma se andiamo oltre il mito, vediamo che la filosofia non è finita con la morte dello schiavo…e questa è una bella cosa. Dunque al lavoro, che abbiamo un grande compito. Ciao Vincenzo
    Silvana

    • Cara Silvana,
      sono contento che ti giungano le notifiche dei miei articoli e lusingato che tu dedichi il tuo tempo a leggerli. Se poi mi omaggi anche di una risposta e delle tue preziose considerazioni, l’occasione mi riempie di gioia.

      Condivido ogni cosa di quanto dici sull’apparire e sul “vendersi” del filosofo (ma in genere sul vendersi di qualsiasi altra categoria di “intellettuale”), non sono invece pienamente d’accordo sul resto della tua argomentazione.

      La mia idea di filosofo è un po’ lontana da quella del formatore di giovani, della guida morale, del maestro o di colui che brilla di “luce etica”. Essa, per contro, aderisce perfettamente a quella del chierico che ho ereditato da Julien Benda (“Il tradimento dei chierici”) e (forse) da Erasmo. Con ciò intendo dire che se il filosofo deve pur vivere tra la gente (diversamente cos’altro potrebbe fare?), non necessariamente deve condividerne i bisogni, le necessità e nemmeno le passioni. Questo lo mette al riparo dal trasformarsi in un maestro, una guida, un consigliere, un assistente sociale oppure, peggio ancora, in un politico.

      Il filosofo, così come lo intendo io, deve far sentire la sua voce, ma non mostrare il volto o “scendere in campo”. Il filosofo deve “stare nelle cose”, dici tu. Io direi, piuttosto, “stargli addosso”, fargli sentire la sua presenza, il suo fiato, essere, per le cose stesse e per il mondo, una minaccia. Ma niente pratica, niente movimenti o partiti politici, niente scuole, professioni e corsi di formazione. Anche perché, come tu saggiamente mi ricordi, quando il filosofo si è mosso ed è andato a liberare gli schiavi dalle catene, l’esito non è stato favorevole per nessuno. (E ricorderai anche che lo stesso Platone stava per rimetterci le penne quando a Siracusa si avvicinò troppo al potere e ingenuamente credette che avrebbe potuto far filosofare Dionisio fondando nella sua città una repubblica… etica).

      Insomma, cara Silvana, più che a Socrate io guardo, semmai, a Spinoza e al suo spietato disinteresse per l’insegnamento, al suo frugale isolamento, al suo naturale istinto di libertà e, infine, alla sua diamantina etica da geometra. Ma accolgo con sincero entusiasmo il tuo finale incoraggiamento di metterci al lavoro. Perciò, col vigore del moscerino, ritorno alla solitaria speculazione delle mie vacue amenità, non prima di salutarti con gratitudine e affetto.

      A presto
      Vincenzo

  2. Va tutto bene, Vincenzo,
    Sono due visioni diverse le nostre. Io non intendo che il filosofo debba fare politica, lungi da me questo pensiero. Intendo con la filosofia, curare…che è l’attività che mi piace di più. E’ l’attività che dà il senso alla nostra esistenza, a mio avviso, senza per questo essere “chierici” di nessuno. Anche io ammiro Spinoza e il suo panteismo, a ben vedere, ci apre un mondo e ci riconcilia con il tutto. Del tutto si tratta infatti, del sentirci parte di qualcosa che tutto comprende e in tal senso, essere consapevoli che la nostra libertà non può essere altro che la consapevolezza della necessità in cui ogni cosa, geometricamente, è così ed è al suo posto. Come lui, Spinoza, diceva, non giudicare, non condannare ma comprendere. Ti saluto e sono contenta di condividere questi nostri pensieri.

  3. Sì, cara Silvana, dopotutto, la cosa che più entusiasma, oltre le chiacchiere, al di là delle diverse posizioni o delle acute osservazioni, è poter discutere e condividere con passione i propri pensieri.

    E anch’io sono contento di poterlo fare con te.

    Grazie ancora.

    A presto
    Vincenzo

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